mercoledì 28 aprile 2010

LEZIONE DEL 23/04/2010

3. La fase in cui si occupa di filosofia: (Leopardi)



nel 1823 la famiglia lo manda a Roma, che sarà per lui una grande delusione. Si aspettava tanto, aveva immaginato di conoscere grandi personalità, invece naturalmente la realtà era diversa. Rimane talmente deluso, che quando torna a Recanati abbandona la poesia per un po’ di tempo e si occupa di filosofia. Il suo pensiero è settecentesco, illuminista, materialista e ateo (il che ovviamente creerà dei conflitti in famiglia). Questa sua filosofia, che è in contrasto con lo spiritualismo di quel periodo, lo porterà al nulla filosofico, perché se si è materialisti non c’è Dio, non c’è senso, tutta la realta è un ciclo materialistico-meccanicistico della materia, in cui tutto finisce per dare spazio ad altre cose, che poi a loro volta finiranno, tutto senza un motivo, senza un fine.
Scrive le “Operette morali” (1824), un’opera di stampo (=carattere) materialistico che proprio per questo la Chiesa metterà all’indice dei libri proibiti. Sono dei dialoghi tra personaggi inventati o reali in cui Leopardi si chiede se sia possibile per l’uomo provare il piacere e la felicità, se la vita abbia un senso. Continuerà quest’opera anche quando lascerà di nuovo Recanati.
Nelle “Operette morali” il tema comune è il principio del piacere, cioè la ricerca della felicità, che è dentro ogni uomo. Ognuno infatti cerca di fuggire il dolore e desidera stare bene. Il piacere, secondo Leopardi, esiste sotto due forme e, però, non può mai essere raggiunto in nessuna delle due. Il piacere esiste come fine di un dolore, superamento di una preoccupazione, e in questo caso dura solo un po’ di tempo, poi ci si dimentica del dolore provato e il piacere passa.
Il piacere è anche tensione, attesa (non possesso). La Natura, quindi, è stata crudele perché questo continuo attendere il piacere ha dei limiti, che sono la malattia, la vecchiaia e la morte.
Con quest’opera, considerata da alcuni critici il capolavoro di Leopardi, partecipa a un concorso, che però non vince.
Nel “Dialogo della natura e di un islandese”, un islandese fugge in tutto il mondo dalla natura, in un posto fa troppo caldo, in un altro ci sono i ghiacciai, in un altro ancora un vulcano. Arriva nel centro dell’Africa, dove incontra proprio la Natura, una specie di donna grande come una montagna, con un volto bello e terribile. L’islandese le chiede perché gli esseri umani sono stati creati, se poi devono soffrire, è come se uno invitasse qualcuno a casa sua per poi trattarlo male. La Natura risponde che la felicità o l’infelicità degli uomini le è completamente indifferente e che se gli uomini sparissero dalla Terra lei non se ne accorgerebbe neanche. L’islandese chiede che senso ha tutto ciò, a cosa serva. Mentre faceva questa domanda secondo alcuni arrivarono due leoni affamati che se lo mangiarono, secondo altri fu coperto dalla sabbia a causa di un forte vento.



“Dialogo di un venditore d’almanacchi (=calendari) e di un passeggere (=passante)”
Il passante chiede al venditore di almanacchi a quale anno passato gli piacerebbe assomigliasse l’anno che sta per arrivare; il venditore gli risponde a nessuno. L’uomo domanda se, visto che pensa che la vita sia bella, tornerebbe a vivere tutti gli anni trascorsi. Alla risposta affermativa del venditore, gli chiede se rivivrebbe la sua vita uguale a come è stata, senza cambiamenti. Il venditore allora risponde di no. Il passante gli dice se vorrebbe rifare la vita di un altro, di un principe per esempio, o se pensa che anche il principe risponderebbe alla stesso modo. Il venditore concorda. Allora l’uomo gli chiede che vita vorrebbe e il venditore risponde che vuole una vita che piaccia a Dio; quindi, afferma l’uomo, una vita a caso, di cui non si sa nulla.
La conclusione del passante è che tutti sarebbero d’accordo col venditore, nessuno vorrebbe rinascere per avere la stessa vita e questo vuol dire che il caso ha trattato tutti male e che ognuno ha avuto più sofferenze che gioie.
“Quella vita, che è una cosa bella, non è quella che si conosce, ma quella che non si conosce, non la vita passata, ma la futura”.


Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa


Leopardi viene chiamato a Milano dall’editore Stella, che gli offre un lavoro, quello di curare delle edizioni di letteratura. I suoi problemi di salute e il clima, però, lo costringeranno a lasciare la città lombarda.
Va a Bologna, dove continua a lavorare per l’editore Stella, poi a Firenze, dove c’è un clima culturale abbastanza vivace. Conosce un gruppo di intellettuali spiritualisti cattolici, che pur non pensandola come lui, lo apprezzano molto.
Va poi a Pisa, che, per la vicinanza al mare, ha un bel clima, Leopardi si sente meglio e scrive una poesia “Il Risorgimento”, risorgimento non politico, ma interiore. Nel suo cuore tornano a farsi sentire le illusioni.

Il ritorno a Recanati


Dopo un po’ i suoi problemi di salute, che ritornano, e la mancanza di soldi lo costringono a tornare nelle Marche. Torna da sconfitto, è depresso, però rivedendo quei luoghi che gli avevano ispirato le illusioni giovanili, non le riproverà nuovamente, ma gli torna il ricordo e prova una grande commozione. Scriverà allora i “Grandi Idilli”.

Firenze: Ranieri e l’amore per una nobildonna


I suoi amici di Firenze, tra cui Pietro Colletta, raccolgono del denaro (fanno una colletta) e lo invitano a tornare a Firenze. Leopardi lascia nuovamente Recanati; non ci tornerà più e non rivedrà più la sua famiglia.
Con quei soldi vive a Firenze per circa un anno. Conosce un esule napoletano, Antonio Ranieri, bello, sano e forte, scappato da Napoli per non essere arrestato dalla polizia borbonica. Nasce tra i due un’amicizia fortissima.
Leopardi in questo periodo s’innamora di una nobildonna fiorentina, bella e giovane, sposata con figli. Lei, però, è innamorata di Ranieri, con cui ha una relazione. A lei Leopardi dedica il “Ciclo di Aspasia”, una raccolta di poesie dove c’è il ritorno dell’illusione dell’amore. Tra questi componimenti c’è “A se stesso”, dal ritmo duro e spezzato.

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