martedì 25 maggio 2010

LEZIONE DEL 21/05/2010

La storia e le tragedie


La storia a Manzoni piace ed interessa molto, perché in essa si può cercare il senso della vita. Se si studia la storia si arriva necessariamente alla questione morale: la “lotta” tra il bene e il male.
Nelle sue tragedie, “L’Adelchi” e “Il conte di Carmagnola” la conclusione è che ci sono solo due possibilità: far del male o subirlo. (Lo stile delle tragedie è solenne).
Nell’ “Adelchi” il re dei Longobardi Desiderio ha dato in sposa sua figlia a Carlo Magno. Questi poi ripudia (=manda via, divorzia) la moglie e lei va a chiudersi in un convento. Così Desiderio decide di fare la guerra contro Carlo Magno, anche se suo figlio Adelchi non è d’accordo. La guerra viene vinta da Carlo Magno e Desiderio con il figlio vengono fatti prigionieri. Adelchi sta morendo e il padre si dispera. Adelchi invita il padre a non piangere, afferma che la vita è un grande segreto, che si comprende solo quando si muore (e quindi lui, che è in fin di vita, lo ha capito). Dice al padre: quando anche tu starai per morire, ricorderai con piacere gli anni in cui non sarai stato re e non hai quindi fatto soffrire nessuno; sii contento di non essere più re, di non poter fare più nulla. “Non resta che far torto o patirlo (=subirlo)”. I nostri antenati hanno seminato ingiustizia (i Longobardi erano stati invasori e avevano fatto delle violenze) e ora non ci sono frutti. Ora va tutto bene a Carlo Magno, ha vinto la guerra, io sto morendo, ma anche lui morirà.
In questa tragedia la sventura (=sfortuna) è “provvida”, cioè provvidenziale, positiva. Perché? Perché su questa terra gli uomini hanno due possibilità: o essere prepotenti, o essere vittime. Se si è vittima si soffre, ma poi l’anima sarà premiata da Dio.
Nelle tragedie la visione è molto pessimista. Successivamente ne “I Promessi Sposi” Manzoni troverà una terza via, che è quella di fare il bene e arriva così a una visione più ottimistica della storia.





I Promessi Sposi


La domanda che si può fare è: “Perché, se c’è un Dio, nella storia c’è stata e c’è tanta violenza, prepotenza e dolore?” Questo tema sarà presente ne “I Promessi Sposi”, dove si parla della peste e della guerra.
E’ il romanzo della Provvidenza, ma anche della responsabilità individuale.

Don Rodrigo è un signorotto di origine spagnola che, per una scommessa fatta col cugino, vuole portarsi a letto Lucia e per questo impedisce il matrimonio la ragazza e il suo fidanzato Renzo.E’ un romanzo rivoluzionario perché i due protagonisti sono due personaggi umili, del popolo, che vengono travolti da grandi eventi: la guerra, la carestia (=periodo di grande povertà), la peste bubbonica. Padre Cristoforo (che ha scelto la “terza via”, cioè fare il bene) va nel palazzo di don Rodrigo per chiedergli di lasciare in pace i due ragazzi, ma il signorotto, che è in compagnia di altra gentaccia, lo scaccia. Allora Padre Cristoforo alza un dito e gli dice: “Verrà un giorno…” e don Rodrigo, che è anche pauroso, gli ferma la mano e lo manda via.

Un altro personaggio centrale è la monaca (=suora) di Monza, personaggio realmenre vissuto, che era stata costretta dal padre a diventare suora e che, non avendo una vera vocazione, aveva poi avuto un amante. Lei accoglie Lucia nel suo convento

Lucia viene rapita dal convento dall’Innominato, a cui si è rivolto don Rodrigo. L’Innominato non stima don Rodrigo, non conosce Lucia, ma accetta di intervenire perché vuole dimostrare la sua potenza. La fa rapire, la rinchiude nel suo castello. La va a vedere e la trova disperata che piange. Lei gli chiede di liberarla e che Dio perdona tante cose per un’opera di bene. La notte è per l’Innominato infernale, tormentatissima, più volte decide di spararsi, continua a ripensare a tutte le violenze che ha commesso, risente urla di donne e bambini. Gli tornano alla mente le parole di Lucia sul perdono divino. E quando arriva la mattina sente le campane suonare a festa, voci di persone che vanno a sentire il cardinale che è arrivato nel paese vicino e si sente trasformato, è un’altra persona. Libera Lucia, va aparlare col cardinale, si converte. L’Innominato sceglie la “terza via”, è un principe del male che si converte al bene, don Rodrigo non ha la sua grandezza.

Durante la peste, don Rodrigo lascia la sua abitazione sul lago di Como e va a Milano. In un brano si racconta di come don Rodrigo torna una sera a casa sua, dopo una serata passata a divertirsi con amici, insieme al Griso, suo fedelissimo “bravo” (i bravi erano dei soldatacci al servizio dei signorotti). Aveva fatto ridere molto i suoi amici parlando di un suo cugino (quello con cui aveva fatto la scommessa), portato via dalla peste due giorni prima. Tornando, però, sente una stanchezza enorme. Il suo bravo, intuendo qualcosa, non si avvicina. Dopo essersi addormentato a fatica, fa un sogno orrendo, in cui ci sono tante persone, tutte con la peste. Sente nel sogno qualcosa che lo preme in un punto preciso, tra il cuore e l’ascella. Sogna fra Cristoforo, che gli punta il dito e si sveglia. Tutto era sparito, tranne quella puntura e la stanchezza. Scopre allora nel punto dolorante un brutto bubbone. E’ terrorizzato dall’idea della morte e di cadere nelle mani dei monatti (persone che hanno avuto la peste, ne sono guariti e non la possono più prendere; hanno il compito di portare i malati al lazzaretto, luogo dove venivano isolati i malati, ma spesso ne approfittano per rubare tutto quello che trovano in casa). Sentendosi sempre peggio, con la febbre che aumenta, don Rodrigo chiama il Griso e gli dice che si fida solo di lui, che gli darà tanti soldi e gli chiede di andare a chiamare il medico. Dopo un po’ sente dei rumori strani, poi aprirsi la porta e vede entrare due monatti. Urla, si ribella, ma mentre un monatto lo tiene fermo, l’altro e il Griso cominciano ato a cercare e prendere le cose di valore. Poi i monatti lo portano via. Il Griso, che era stato attento a non toccare né monatti né il padrone, senza pensare cerca anche fra gli indumenti di don Rodrigo. Ci pensa però il giorno dopo, quando, mentre sta mangiando, gli vengono dei brividi e si sente male. Finisce anche lui in mano ai monatti, che, dopo averlo spogliato, lo buttano su un carro, sul quale muore prima di arrivare al lazzaretto.
Il testo è incalzante, grande descrizione del sogno delirante, molto cinematografico.

Don Rodrigo al lazzaretto viene curato da padre Cristoforo. Renzo, che ha avuto la peste e ne è guarito, incontra il frate. Questi gli fa vedere don Rodrigo, ormai in fin di vita, e Renzo lo perdona.
Alla fine del romanzo c’è il lieto fine, perché Renzo e Lucia hanno preso la peste, ma sono guariti e si sposano, invece don Rodrigo ne muore..




Storia della Colonna Infame


“Storia della Colonna Infame” è un saggio storico. Narra del processo a Milano durante la peste del 1630 contro due persone accusate di essere “untori”, cioè di diffondere volutamente la peste. Furono entrambi condannati a morte, la casa di uno dei due venne distrutta e al suo posto venne costruita una colonna con una scritta, che diceva che in quel luogo sorgeva la casa di un untore…. Nel secolo dei lumi abbattono la colonna infame, simbolo di una grave ingiustizia, dovuta secondo Pietro verri, a pregiudizi e superstizioni e all’uso della tortura, per cui anche gli innocenti confessano per non soffrire più.
Manzoni, analizzando le carte del processo, giunge alla conclusione che i giudici volevano fare in fretta per calmare la folla inferocita. L’ingiustizia non è quindi solo dovuta ai pregiudizi e all’uso della tortura, ma anche alla responsabilità dei giudici.
Ciò che accade nella storia è dovuto anche alla responsabilità individuale.

giovedì 20 maggio 2010

LEZIONE DEL 17/05/2010

LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA


Nel 1859 Cavour decide di portare l’Austria a dichiarare guerra al Piemonte, poiché solo in questo caso la Francia si muoverà. Fa cominciare delle esercitazioni militari al confine con la Lombardia, mentre migliaia di volontari giungono da tutta Italia. Arriva anche Garibaldi, che guida i Cacciatori delle Alpi. L’Austria dice al Piemonte di cessare queste esercitazioni, i Piemontesi non si ritirano e l’Austria dichiara guerra al Piemonte. La Francia rispetta i patti di Plombieres, scende in guerra e ottiene una vittoria, dopo la quale Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrano a Milano, liberata dal dominio austriaco.
Francesi e Piemontesi vincono le battaglie di Solferino e San Martino e anche Garibaldi ottiene delle vittorie.
A questo punto, però, Napoleone III firma l’armistizio di Villafranca con l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe. Si decide a questo a causa delle proteste dei suoi sudditi dovute alle numerosissime vittime, dei costi elevati, e delle rivolte nell’Italia centrale. Infatti nel frattempo i patrioti del ducato di Parma e Piacenza, del ducato di Modena, della Toscana e di alcune città dello Stato pontificio avevano chiesto di entrare a far parte del regno del Piemonte.
Cavour avrebbe voluto continuare la guerra anche senza la Francia, ma poiché Vittorio Emanuele non volle, si dimise per protesta.
Comunque agli inizi del 1860 Cavour ritornò a capo del governo e gestì le annessioni dell’Italia centrale. Quindi vengono perse Nizza e la Savoia, ma si è formato uno stato del nord, che comprende Piemonte, Liguria, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana.



LA SPEDIZIONE DEI MILLE


Garibaldi aveva rinunciato alla pregiudiziale repubblicana, ma resta un democratico, crede nell’iniziativa popolare. La spedizione di Sapri era stata popolare, la sua sconfitta aveva rilanciato la politica moderata di Cavour, grazie alla quale parte dell’Italia centrale è annessa. I democratici allora decidono di approfittare di questo momento favorevole, di cavalcare l’onda.
Garibaldi sente che è il momento buono per agire, anche perché è aiutato dalla massoneria e dall’Inghilterra. L’Inghilterra infatti ha molti interessi economici nel Regno di Napoli, ma ultimamente i rapporti con i Borboni si sono guastati e quindi appoggia l’obiettivo di Garibaldi Questi organizza una spedizione, che assomiglia a quella di Pisacane, ma meglio organizzata e con più aiuti. Ha con lui 1080 volontari, soprattutto del nord, un po’ meno del centro, ancora meno del sud Italia, sono combattenti delle guerre del 1848 e del 1859, sono studenti, insegnanti, artigiani, operai, nessun contadino (non sono interessati, hanno altri problemi). Indossano una camicia rossa. Vittorio Emanuele II ha simpatia per Garibaldi (certo non per Mazzini) e con Cavour sta a guardare cosa succede.
I Mille partono da Quarto, in Liguria il 5 maggio 1870 e sbarcarono a Marsala, in Sicilia. Penetrarono nell’interno suscitando l’entusiasmo dei Siciliani, alcuni dei quali si unirono a loro. A Calatafimi Garibaldi si proclamò dittatore (=che assume pieni poteri) in nome del re Vittorio Emanuele II. Quando i garibaldini arrivarono a Palermo gli abitanti insorsero e scacciarono insieme l’esercito borbonico.
Poi però comincia qualche problema. I contadini sfruttati dai proprietari terrieri si fidano di Garibaldi e pensano che lui farà giustizia e farà la distribuzione delle terre. A Bronte, però, i contadini in nome di Garibaldi fanno una strage e uccidono molti nobili. Qualche giorno dopo Garibaldi mandò Nino Bixio, il suo luogotenente, a riportare l’ordine, anche perché i proprietari gli fanno capire che a loro va bene mandar via i Borboni, ma non accettano le sollevazioni popolari. Nino Bixio arresta e fucila i rivoltosi, molti sono arrestati. Intanto arrivano altri volontari e Garibaldi sconfigge nuovamente i Borboni a Milazzo. Lascia la Sicilia e va in Calabria. Anche sul continente Garibaldi vince ed entra trionfalmente a Napoli.
A questo punto Vittorio Emanuele e Cavour capiscono che devono prendere la situazione in mano e così l’esercito piemontese si muove, va verso le Marche e sconfigge le truppe borboniche e pontificie. Vengono così liberate anche le Marche e l’Umbria e al papa resta solo il Lazio.
A Teano, vicino Caserta, Vittorio Emanuele II e Garibaldi si incontrano e l’eroe dei due mondi consegna al re tutte le terre conquistate. L’iniziativa democratica a questo punto non ha più speranze e si passa ai plebisciti, dove le popolazioni dei vari Stati scelgono di annettersi al Piemonte.
Il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia. Mancavano Venezia, Trento, Trieste e il Lazio. Due mesi dopo muore Cavour.




QUI FINISCE IL PROGRAMMA DI QUEST'ANNO

LEZIONE DEL 18/05/2010


La tempestosa e ansiosa
gioia di un grande progetto,
l’ansia di un cuore che ribelle
sta sottomesso (ai suoi superiori nell’esercito), pensando al suo progetto, il regno;
e arriva a regnare, e ottiene un premio
che sarebbe stato da pazzi sperare;

tutto egli provò: la gloria
più grande dopo il pericolo (la vittoria dopo il pericolo sembra maggiore),
la fuga (dalla Russia, dall’esilio) e la vittoria,
il trono e il triste esilio;
due volte nella polvere, sconfitto
due volte è tornato al potere.

(Le prossime due strofe sono molto belle):

Egli si affermò: due secoli (il settecento e l’ottocento)
in contrapposizione fra di loro (armati l’uno contro l’altro)
sottomessi si rivolsero a lui,
come se lui rappresentasse il fato, il destino;
egli fece silenzio, ed arbitro (=colui che decide, come l’arbitro di calcio)
si sedette in mezzo a loro(come una specie di sintesi fra passato e presente).

(Qui finisce il personaggio storico, forte, ambizioso, e inizia l’”uomo” Napoleone):

E scomparve (dopo Waterloo), e i suoi giorni nell’ozio
chiuse in una piccola isola (“sponda”=costa),
segnato da un’immensa invidia
e da una pietà profonda,
da odio senza fine
e da amore coraggioso.

Come sul capo del naufrago
l’onda lo domina e lo schiaccia,
l’onda sul quale il povero,
alta alzava la testa
per vedere
inutilmente (“invan”) una riva lontana (“prode”=rive, “remote”=lontane);

così su quell’anima (“alma”=anima, Napoleone) il cumulo (=una grande quantità disordinata)
delle memorie scese (prima non aveva tempo di pensare al passato, ma ora che è solo e che non ha niente da fare, arrivano i ricordi).
Oh quante volte ai posteri
cominciò (“imprese”) a scrivere le sue memorie,
e sulle pagine eterne (che non venivano mai concluse)
cadde la mano stanca (perché troppo grande la sconfitta)!

Oh quante volte, nel silenzioso (“tacito”)
morire di un giorno inattivo,
abbassati gli occhi (“rai fulminei”=che erano come raggi veloci e che davano timore)
con le braccia incrociate al seno,
rimase, e dei giorni che furono
lo assalì il ricordo (come il naufrago dall’onda).

?

Ahi! Forse a tanta disperazione
cadde lo spirito sempre desideroso di obiettivi da raggiungere,
e perse ogni speranza; ma efficace
venne un aiuto (“una man”) dal cielo,
e in un’aria più respirabile
pietosa lo portò;

e lo avviò, per i fecondi e vivi
sentieri della speranza,
ai campi della spiritualità, al premio
che supera i desideri,
dove diventano silenzio e tenebre (=buio)
le glorie di questa terra (che finiscono).

Bella Immortale e portatrice di bene
Fede abituata ai trionfi veri!
Scrivi, o Fede, anche questo, rallegrati;
perché nessun uomo più potente e superbo
alla crice di Cristo (“disonore del Gòlgota”, perché il Gòlgota era il monte su cui era stato crocefisso Gesù; “disonore”, perché la crocefissione era data ai peggiori criminali)
si è mai chinato, piegato.

Tu, o Fede, dal corpo stanco
disperdi ogni parola cattiva:
Dio che può abbassare e innalzare,
che dà preoccupazioni e consolazioni,
sul letto solitario
rimase accanto a lui.

domenica 16 maggio 2010

LEZIONE DEL 14/05/2010

Il cinque maggio


Il 5 maggio 1821 (Manzoni si era già convertito) si diffonde la notizia che era morto Napoleone nell’isola di Sant’Elena e che prima di morire aveva chiesto i sacramenti, lui che non era mai stato un religioso. Questa notizia colpisce Manzoni, che dedica “Il cinque maggio” appunto alla morte dell’imperatore.
E’ un’ode, cioè una poesia di carattere celebrativo, con strofe di sei versi.
Il ritmo è incalzante (=veloce, rapido) e c’è tutta la vicenda di un essere umano, quindi una grande capacità di sintesi.

Egli non è più. Non appena immobile,
esalato (=”dato”) l’ultimo respiro,
il cadavere se ne stette lì senza più memoria (“immemore”)
privato (“orba”) di uno spirito così grande,
così colpita, meravigliata
la terra rimane di fronte alla notizia (“nunzio”),

pensando in silenzio all’ultima
ora dell’uomo fatale (=mandato dal fato, dal destino);
né il mondo sa quando un’orma di piede mortale (mortale=di uomo, quindi destinato a morire)
simile (a quella di Napoleone)
verrà a calpestare
la sua polvere insanguinata.

(La Terra è descritta come un luogo di violenza, di guerra, di dolore, di morte, in cui il segno che ha lasciato Napoleone è grandissimo).

La mia mente vide lui nello splendore del suo trono (“solio”)
e stette zitta;
quando, con alterne vicende,
cadde, risorse e di nuovo precipitò,
non ha mescolato la sua voce
alle altre mille voci:

il mio spirito puro, privo di una lode (“encomio”) servile
e privo anche di una vigliacca (“codardo”=non coraggioso) offesa,
ora sorge toccato all’improvviso
sparire di una personalità così luminosa;
e scioglie alla tomba un canto
che forse non morirà.

(Nella prossima strofa Manzoni fa dei passaggi storici molto incalzanti e in pochi versi cita tutte le imprese di Napoleone):

Dalle Alpi (campagna d’Italia) alle Piramidi (campagna d’Egitto),
dal Manzanarre (fiume della Spagna) al Reno (fiume della Germania),
le azioni (“il fulmine”) di quell’uomo determinato
seguivano immediatamente le idee:
scoppiò da Scilla (nell’Italia meridionale) al Tanai (fiume della Russia, quindi campagna di Russia),
dall’uno all’altro mare.


Fu vera gloria? Ai posteri (=quelli che verranno dopo di noi)
il giudizio difficile: noi
abbassiamo la fronte a Dio (“Massimo Fattore”),
che volle in lui
del suo spirito creatore
realizzare (“stampar”) una grande impronta.

(Il senso della storia è per Manzoni garantito da Dio; per i cristiani questo piano, questo disegno che Dio prevede per la storia si chiama Provvidenza; la Provvidenza è Dio che si occupa della storia di ogni uomo e dell’umanità in generale).

mercoledì 12 maggio 2010

LEZIONE DEL 11/05/2010

ALESSANDRO MANZONI


Somiglianze e punti di contatto con Giacomo Leopardi:
- sono i più importanti rappresentanti del Romanticismo italiano, Leopardi per la poesia, Manzoni per la narrativa, ma il primo ha scritto anche in prosa e il secondo in versi. Manzoni creò il primo vero grande romanzo della letteratura italiana: “I Promessi Sposi” (il primo è stato “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Foscolo, ma non è un capolavoro).
- quando Manzoni riscrive “I Promessi Sposi” per la terza volta (la seconda volta ha cambiato i contenuti, la terza lo stile), vuole sentire la lingua parlata dai fiorentini delle classi colte. Dalla Lombardia si trasferisce quindi con la famiglia nel Granducato di Toscana e frequenta gli ambienti degli spiritualisti, gli amici di Leopardi. Fra loro due, comunque, non ci sono contatti, perché sono troppo diversi.
- ambedue sono nobili, Manzoni è il figlio riconosciuto di un conte. La madre, Giulia Beccaria era figlia di Cesare Beccaria, il grande illuminista che aveva scritto “Dei delitti e delle pene”. Aveva concepito Alessandro con uno dei fratelli Verri (quelli che avevano fondato nella seconda metà del settecento la rivista “Il Caffè”). Poi il matrimonio formale fra Giulia Beccaria e il conte Manzoni finisce, lei va a Parigi con un nuovo compagno e il figlio va in un collegio e quindi vive lontano dalla madre.

Differenze con Leopardi:
- mentre Leopardi è di un paesino dell’arretrato Stato pontificio, Manzoni nasce nel 1785 a Milano, città avanzata e sotto la dominazione illuminata degli Austriaci. Intorno a Manzoni c’è un mondo molto stimolante: il nonno, sua madre, il nuovo compagno di sua madre, anche lui persona colta.
- Leopardi non si sposerà mai e non avrà figli, Manzoni si sposa due volte e avrà diversi figli (che moriranno tutti mentre lui era ancora in vita). La madre Giulia Beccaria, che ha perso il suo compagno, chiama il figlio Alessandro a Parigi, per averlo vicino e per farlo sposare. Così Manzoni sposa molto giovane una diciassettenne, Enrichetta Blondel. La ragazza era calvinista, ma si stava convertendo alla religione cattolica. I due insieme fanno un percorso autentico di avvicinamento al cristianesimo. Enrichetta Blondel morirà e Manzoni si risposerà con una vedova che aveva un figlio.
- da giovane Manzoni non segue molto le regole convenzionali, ma poi si converte al cristianesimo. Nelle sue opere c’è il meglio della cultura illuminista (il senso della giustizia, della verità) e il meglio della cultura cristiana e spiritualista, mentre Leopardi era materialista. Per Manzoni la ragione non può spiegare tutto, la fede conduce su un piano superiore.
- tutti e due danno un grande contributo al dibattito che inizia nel 1816 tra classicisti e romantici. Manzoni però, a differenza di Leopardi, è completamente romantico, perché il classicismo prende come modello un mondo pagano, mentre lui è un convinto cristiano.

Manzoni e le illusioni
Con Manzoni siamo oltre le illusioni. Era molto religioso e per lui Dio è il garante del senso della vita, cioè Dio garantisce il senso della vita e della storia, dà un significato e un fine alla vita e alla storia; quindi non abbiamo bisogno di illusioni.