La storia a Manzoni piace ed interessa molto, perché in essa si può cercare il senso della vita. Se si studia la storia si arriva necessariamente alla questione morale: la “lotta” tra il bene e il male.
Nelle sue tragedie, “L’Adelchi” e “Il conte di Carmagnola” la conclusione è che ci sono solo due possibilità: far del male o subirlo. (Lo stile delle tragedie è solenne).
Nell’ “Adelchi” il re dei Longobardi Desiderio ha dato in sposa sua figlia a Carlo Magno. Questi poi ripudia (=manda via, divorzia) la moglie e lei va a chiudersi in un convento. Così Desiderio decide di fare la guerra contro Carlo Magno, anche se suo figlio Adelchi non è d’accordo. La guerra viene vinta da Carlo Magno e Desiderio con il figlio vengono fatti prigionieri. Adelchi sta morendo e il padre si dispera. Adelchi invita il padre a non piangere, afferma che la vita è un grande segreto, che si comprende solo quando si muore (e quindi lui, che è in fin di vita, lo ha capito). Dice al padre: quando anche tu starai per morire, ricorderai con piacere gli anni in cui non sarai stato re e non hai quindi fatto soffrire nessuno; sii contento di non essere più re, di non poter fare più nulla. “Non resta che far torto o patirlo (=subirlo)”. I nostri antenati hanno seminato ingiustizia (i Longobardi erano stati invasori e avevano fatto delle violenze) e ora non ci sono frutti. Ora va tutto bene a Carlo Magno, ha vinto la guerra, io sto morendo, ma anche lui morirà.
In questa tragedia la sventura (=sfortuna) è “provvida”, cioè provvidenziale, positiva. Perché? Perché su questa terra gli uomini hanno due possibilità: o essere prepotenti, o essere vittime. Se si è vittima si soffre, ma poi l’anima sarà premiata da Dio.
Nelle tragedie la visione è molto pessimista. Successivamente ne “I Promessi Sposi” Manzoni troverà una terza via, che è quella di fare il bene e arriva così a una visione più ottimistica della storia.
I Promessi Sposi
La domanda che si può fare è: “Perché, se c’è un Dio, nella storia c’è stata e c’è tanta violenza, prepotenza e dolore?” Questo tema sarà presente ne “I Promessi Sposi”, dove si parla della peste e della guerra.
E’ il romanzo della Provvidenza, ma anche della responsabilità individuale.
Don Rodrigo è un signorotto di origine spagnola che, per una scommessa fatta col cugino, vuole portarsi a letto Lucia e per questo impedisce il matrimonio la ragazza e il suo fidanzato Renzo.E’ un romanzo rivoluzionario perché i due protagonisti sono due personaggi umili, del popolo, che vengono travolti da grandi eventi: la guerra, la carestia (=periodo di grande povertà), la peste bubbonica. Padre Cristoforo (che ha scelto la “terza via”, cioè fare il bene) va nel palazzo di don Rodrigo per chiedergli di lasciare in pace i due ragazzi, ma il signorotto, che è in compagnia di altra gentaccia, lo scaccia. Allora Padre Cristoforo alza un dito e gli dice: “Verrà un giorno…” e don Rodrigo, che è anche pauroso, gli ferma la mano e lo manda via.
Un altro personaggio centrale è la monaca (=suora) di Monza, personaggio realmenre vissuto, che era stata costretta dal padre a diventare suora e che, non avendo una vera vocazione, aveva poi avuto un amante. Lei accoglie Lucia nel suo convento
Lucia viene rapita dal convento dall’Innominato, a cui si è rivolto don Rodrigo. L’Innominato non stima don Rodrigo, non conosce Lucia, ma accetta di intervenire perché vuole dimostrare la sua potenza. La fa rapire, la rinchiude nel suo castello. La va a vedere e la trova disperata che piange. Lei gli chiede di liberarla e che Dio perdona tante cose per un’opera di bene. La notte è per l’Innominato infernale, tormentatissima, più volte decide di spararsi, continua a ripensare a tutte le violenze che ha commesso, risente urla di donne e bambini. Gli tornano alla mente le parole di Lucia sul perdono divino. E quando arriva la mattina sente le campane suonare a festa, voci di persone che vanno a sentire il cardinale che è arrivato nel paese vicino e si sente trasformato, è un’altra persona. Libera Lucia, va aparlare col cardinale, si converte. L’Innominato sceglie la “terza via”, è un principe del male che si converte al bene, don Rodrigo non ha la sua grandezza.
Durante la peste, don Rodrigo lascia la sua abitazione sul lago di Como e va a Milano. In un brano si racconta di come don Rodrigo torna una sera a casa sua, dopo una serata passata a divertirsi con amici, insieme al Griso, suo fedelissimo “bravo” (i bravi erano dei soldatacci al servizio dei signorotti). Aveva fatto ridere molto i suoi amici parlando di un suo cugino (quello con cui aveva fatto la scommessa), portato via dalla peste due giorni prima. Tornando, però, sente una stanchezza enorme. Il suo bravo, intuendo qualcosa, non si avvicina. Dopo essersi addormentato a fatica, fa un sogno orrendo, in cui ci sono tante persone, tutte con la peste. Sente nel sogno qualcosa che lo preme in un punto preciso, tra il cuore e l’ascella. Sogna fra Cristoforo, che gli punta il dito e si sveglia. Tutto era sparito, tranne quella puntura e la stanchezza. Scopre allora nel punto dolorante un brutto bubbone. E’ terrorizzato dall’idea della morte e di cadere nelle mani dei monatti (persone che hanno avuto la peste, ne sono guariti e non la possono più prendere; hanno il compito di portare i malati al lazzaretto, luogo dove venivano isolati i malati, ma spesso ne approfittano per rubare tutto quello che trovano in casa). Sentendosi sempre peggio, con la febbre che aumenta, don Rodrigo chiama il Griso e gli dice che si fida solo di lui, che gli darà tanti soldi e gli chiede di andare a chiamare il medico. Dopo un po’ sente dei rumori strani, poi aprirsi la porta e vede entrare due monatti. Urla, si ribella, ma mentre un monatto lo tiene fermo, l’altro e il Griso cominciano ato a cercare e prendere le cose di valore. Poi i monatti lo portano via. Il Griso, che era stato attento a non toccare né monatti né il padrone, senza pensare cerca anche fra gli indumenti di don Rodrigo. Ci pensa però il giorno dopo, quando, mentre sta mangiando, gli vengono dei brividi e si sente male. Finisce anche lui in mano ai monatti, che, dopo averlo spogliato, lo buttano su un carro, sul quale muore prima di arrivare al lazzaretto.
Il testo è incalzante, grande descrizione del sogno delirante, molto cinematografico.
Don Rodrigo al lazzaretto viene curato da padre Cristoforo. Renzo, che ha avuto la peste e ne è guarito, incontra il frate. Questi gli fa vedere don Rodrigo, ormai in fin di vita, e Renzo lo perdona.
Alla fine del romanzo c’è il lieto fine, perché Renzo e Lucia hanno preso la peste, ma sono guariti e si sposano, invece don Rodrigo ne muore..
Storia della Colonna Infame
“Storia della Colonna Infame” è un saggio storico. Narra del processo a Milano durante la peste del 1630 contro due persone accusate di essere “untori”, cioè di diffondere volutamente la peste. Furono entrambi condannati a morte, la casa di uno dei due venne distrutta e al suo posto venne costruita una colonna con una scritta, che diceva che in quel luogo sorgeva la casa di un untore…. Nel secolo dei lumi abbattono la colonna infame, simbolo di una grave ingiustizia, dovuta secondo Pietro verri, a pregiudizi e superstizioni e all’uso della tortura, per cui anche gli innocenti confessano per non soffrire più.
Manzoni, analizzando le carte del processo, giunge alla conclusione che i giudici volevano fare in fretta per calmare la folla inferocita. L’ingiustizia non è quindi solo dovuta ai pregiudizi e all’uso della tortura, ma anche alla responsabilità dei giudici.
Ciò che accade nella storia è dovuto anche alla responsabilità individuale.